Le parole che ci rendono forti: insieme, mano nella mano

“Insieme abbiamo attraversato la tempesta, ci siamo fatti forza e ci siamo presi per mano promettendoci di non mollare. Io ho te e tu hai me, questo ci ripetevamo ogni giorno. Certo di litigate esagitate si riempivano i nostri mesi, e poi anni, e poi decenni. Ti ricordi quando – doveva essere il 1994 – ti arrabbiasti tantissimo perché io avevo osato dire “dai, sto Berlusconi non mi sembra poi malissimo”.

Volevi un figlio, mi dicevi con quell’aria un po’ ingenua, che dovevamo buttarci, non ci dovevamo pensare. Dopo qualche anno, mi convinsi anche io, titubavo all’inizio, avevo paura di non farcela, paura che il cambiamento ci avrebbe fatto allontanare.

Ma più avevo paura più ci avvicinavamo, e dopo un anno nacque Angelo. Non eravamo felici, dire felice sarebbe riduttivo, sembrava più una sensazione che assomiglia allo stare in paradiso. Ma cosa ne sapevamo noi del paradiso, potevamo solo immaginare? Quello che invece non potevamo immaginare era che quattro anni più tardi saremmo piombati nell’inferno. Angelo faticava a stare in piedi, lamentava spesso mal di stomaco, troppo spesso. Quella brutta diagnosi ci si schiantò addosso come un macigno. Provavo ad esserti d’aiuto, ma forse ci provavo male. Mesi di ospedali, medici, specialisti, psicologi, un tempo sospeso in cui ci siamo lacerati l’anima. Ti ho vista un giorno rialzarti con tutta la forza di cui eri capace e sussurrare a te stessa: io, mio figlio lo devo salvare.

E così fu. Tornammo a vivere, rinascemmo. E allora partimmo per la Grecia, una vacanza noi tre: mare, pesce e sole. La vacanza più bella e meritata della mia vita. Che bella che eri abbronzata e con gli occhi felici di chi è riuscita a trattenere ciò che ama.

Angelo e la scuola, qualche problemino ce l’ha dato. Quante difficoltà per scegliere il liceo. Menomale che poi s’innamoro di quella ragazzina bionda, come si chiamava, forse Alice, che poi lo convinse a frequentare il classico.  Ora posso dirtelo, lo sai che era palese a tutti che eri gelosa della fidanzata di Angelo? Ridevamo molto quando non c’eri, perché eri buffa le volte in cui cercavi di dissimulare il fatto che nostro figlio, se tu avessi potuto, l’avresti tenuto con noi fino ai quarant’anni. Ma i figli si lasciano liberi, ti dicevo, tu facevi finta di darmi ragione e nervosa tornavi a preparare la crostata di lamponi.

E quel momento in cui mi licenziarono: diventai scostante, scorbutico, insopportabile. Me lo facevi notare, ma io nulla, tutto intento a lamentarmi e pensare soltanto a me. Si prospettavano sacrifici e tensione. Tu, stremata, andasti a stare da tua madre. Mi mancava Angelo, mi mancavi tu, eppure non riuscivo a trovare le parole per dirvelo.

Per fortuna durò poco quella separazione, giusto il tempo di realizzare che l’uno senza l’altra non eravamo niente. E allora tornasti a casa e soltanto allora ricominciai a respirare.”

Le nostre famiglie, i nostri cugini, gli amici, i nemici, i datori di lavoro. Ricordo ogni singola faccia della nostra esistenza, i profumi, i sapori delle nostre serate insieme.

Io tra poco andrò via, e tu lo sai, ma in fondo chi si è amato come noi, non va via mai.

Spolvera i mobili in soffitta, Lucia, e d’improvviso le scende una lacrima e il cuore le si scalda. Ha ritrovato una vecchia lettera di suo marito, una lettera di quando lui pensava di dover morire, di quando invece si salvò. Quelle parole davano il senso alla vita di Lucia, l’essenza del suo stare al mondo apparteneva a quelle righe. Ora lei può cominciare la sua giornata, con gli acciacchi della sua età, di quell’età bellissimo di chi conosce i sentimenti nel profondo!

Rossella C.

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