Il primo incontro, il primo sguardo, il primo tempo
Il tempo di uno sguardo, nemmeno tanto profondo, perché quella specie di timidezza mista a pudore li aveva costretti a fingere disattenzione. Erano in un negozio di maschere e costumi per carnevale. “Chissà cosa penserà vedendomi alla mia età in un posto per bambini o per adulti mai cresciuti, penserà che sono sciocca?” si chiedeva Alice mentre camminava su e giù con un vestito da Pulcinella tenuto stretto nella piega del gomito. Il negozio era piccolo, 60 metri quadri al massimo, ma se ne stavano uno lontanissimo dall’altra, sembrava avessero proprio calcolato geometricamente i due punti tra loro più distanti. “Mah, adesso come faccio a chiedere alla commessa un abito da Cenerentola? Mi sentiranno tutti, mi sentirà lei” si ripeteva Tommaso mentre scrollava il cellulare con le dita tremanti dal nervosismo.
Nel frattempo, il negozio si riempiva sempre di più, almeno altre cinque persone all’interno, che si muovevano con disinvoltura, senza dubbio molta più disinvoltura di Alice e Tommaso. Tutti gli altri parevano tranquilli, semplicemente alla ricerca di qualcosa di originale, ma con un’espressione serena, quell’espressione di chi è a proprio agio. Non riuscivano più a scorgersi con la coda dell’occhio Tommaso e Alice, troppa gente tra di loro, quella gente tranquilla e serena che però faceva da barriera. E allora Tommaso ne approfittò per fare la fatidica domanda alla commessa: “Mi scusi, avete per caso un costume da Cenerentola?” si diceva in mente, faceva le prove prima di incrociare la commessa. Lui era indeciso, tentennava, si sfregava le mani, poi si guardava attorno, sperava che Alice non fosse uscita. Però il costume era urgente, non poteva più aspettare, allora prese coraggio, mosse due passi decisi e fermi da uomo sicuro di se e si diresse verso la cassa, tono fermo, voce baritonale, postura da chi al mondo non teme niente, si schiarì la voce e disse: “Mi scusi…” Ma aveva sbagliato persona, quei capelli ricci scuri, quelle spalle un po’ curve dall’imbarazzo non erano dell’addetta alla vendita, ma di Alice. “Eh, no, non è per me” lo interruppe lei, riferendosi al vestito da Pulcinella che teneva ancora stretto in mano. Ci furono dieci secondi di silenzio, forse anche qualcosina in più, i dieci secondi più lunghi della vita, quelli in cui vorresti riavvolgere il nastro però sai che è impossibile. Poi accennarono una risata, a tratti isterica, ma pur sempre una risata. “Nemmeno il mio è per me” le disse Tommaso, pur non avendo nulla in mano. E Alice gli fece un cenno con gli occhi, per fargli capire che aveva capito che si riferiva ad un ipotetico costume che ancora non aveva in mano adesso, insomma per non metterlo a disagio, ma lui a disagio c’era già.
Provvidenziale come una manna dal cielo si avvicinò la commessa e ancor prima che pronunciasse la fatidica frase “COME POSSO AIUTARVI”, i due si giustificarono quasi in contemporanea “sono qui per mio fratello piccolo” – “sono qui per mia sorella piccola”. Non so cosa si dissero dopo, io li guardavo mentre frugavo in una cesta per cercare degli addobbi per la festa del Martedì Grasso, mi ricordo soltanto che uscirono insieme dal negozio, guardandosi in maniera delicata, ognuno tornando a casa dalla propria mamma e dal proprio papà, che avevano dato il permesso a due quattordicenni di uscire per una mezzoretta di casa. E forse di innamorarsi.
Rossella